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    Il futuro è passato

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    La tradizione intesa come “complesso delle memorie, notizie e testimonianze” (wikipedia) legata ad un territorio, col passare del tempo si sta perdendo: sempre meno gente conosce la storia della propria città, sempre meno gente è a conoscenza di particolari tradizioni e usanze un tempo molto comuni, e ancora meno gente conosce strumenti e processi ormai superati ma che sono stati alla base dell’evoluzione della nostra civiltà.
    Contrariamente all’etimologia della parola che deriva dal verbo latino tradĕre che significa consegnare, la parola tradizione sta perdendo il suo significato intrinseco divulgativo di trasmissione e consegna di un sapere.

    Quello che ci proponiamo di fare è fondare uno studio di progettazione multidisciplinare in grado di ricercare e studiare le tradizioni, le usanze, i ricordi legati ad un territorio, e di proiettarli verso il futuro, attraverso il disegno e la produzione di progetti-veicolo per la diffusione della tradizione stessa, che potrà così essere ricordata e trasmessa.

    La parola progettare deriva dal latino proicere, significa gettare avanti.

    Noi crediamo che attraverso lo studio del passato si possa generare innovazione per il futuro.

    Tutti gli oggetti dal punto di vista del design, sono già stati realizzati, la conoscenza del mondo è basata sulla storia, e nella storia è implicito il futuro.

    Il design inteso come progetto sta morendo. Ormai si progetta solo per arricchire cataloghi aziendali. I progetti degli ultimi trent’anni sono finalizzati a morire rapidamente perché legati a processi commerciali spietati per cui per vendere nuova merce bisogna far passare di moda la merce prodotta sei mesi prima.

    Inoltre citando E. Mari, “Non esiste oggi parola più malsana e oscena della parola creatività”. Creatività non significa disegnare qualcosa di bello o mai visto in precedenza, la creatività è un’arte combinatoria di svariati concetti, idee, immagini, opinioni per arrivare alla soluzione giusta a un determinato problema. Quando noi pensiamo a un oggetto, non guardiamo a un prodotto la cui funzione è legata alla vendita, ma pensiamo ad un veicolo. Scopo principale del prodotto per noi è la diffusione di una tradizione che probabilmente andrà persa. Fare il designer significa anche avere un approccio etico e sociale, è il mestiere che più deve tener conto dell’uomo e della sua presenza nel mondo, soprattutto oggi che, per citare Calvino, “l’altrove si può dire che non esista più, e tutto il mondo tenda a uniformarsi”.

    Il nome apotropaici deriva dall’analisi stessa del nostro territorio, e da un importante studio condotto sulla presenza delle maschere apotropaiche all’interno della nostra tradizione. Si tratta di sculture in pietra o intonacate, raffiguranti demoni, che servivano (e servono tuttora probabilmente) a scacciare e allontanare gli spiriti maligni e la malasorte, e a svolgere funzione di protezione della casa.

    È un’usanza diffusa in tutta Italia. In molte città assumono nomi diversi e folcloristici, maschere diverse con nomi diversi legati al luogo di appartenenza. Ognuno di noi indossa diverse maschere nella propria vita, e il contesto sociale inevitabilmente condiziona la nostra crescita e le nostre scelte, in fondo siamo quello che siamo perché siamo nati in un certo luogo e probabilmente saremmo diversi se il luogo fosse un altro.

    Un filone psichiatrico e psicologico associa il termine apotropaico al “bisogno di prendere le distanze da qualcosa”, in modo conscio o inconscio, rappresentando la “fuga dal pericolo”.

    In questo contesto è il pericolo di perdere le nostre tradizioni che ci spinge ad andare avanti.

    Quello delle maschere è un retaggio pagano che sopravvive tuttora negli ambienti moderni delle nostre città, inconsapevolmente ne siamo circondati, indisturbati. Le maschere sopravvivono, anzi si fondono e si mimetizzano all’interno della modernità, resistono a qualsiasi avanzare del tempo.

    In genere sono posizionate sulla soglia, che si credeva essere in passato il luogo che consentisse il passaggio tra due mondi, immanente e trascendente, il mondo reale e il mondo del sogno. E davanti alle soglie si pensa si posizionino i guardiani, i custodi di questi passaggi.

    Allo stesso modo ci piace guardare agli "apotropaici" come ai guardiani delle nostre tradizioni.

    C’è un interessante racconto di Isaac Asimov (Feeling of Power) che descrive un mondo ipertecnologico del futuro e spiega come in seguito ad un blackout tutti i computer diventino inutilizzabili. Il pentagono allora individua l’unico uomo sul pianeta in grado di calcolare le tabelline, mentalmente, grazie al quale riescono a superare l’avversità.

    Per quanto il mondo possa diventare tecnologico, non bisogna mai dimenticarsi del passato. Si potranno inventare mille modi per accendere una lampadina a distanza e senza l’utilizzo di gesti manuali, ma la sensazione e il calore che ci darà l’accendere in casa una candela è ineguagliabile. Questo non significa rinunciare alla tecnologia, quanto piuttosto cercare una fusione tra passato e presente per generare un futuro innovativo. Un’importante informatico statunitense del PARC (San Francisco) Alan Kay, dice che il miglior modo per predire il futuro è progettarlo (the best way to predict the future is to invent it).

    Solo amando la storia e studiando le tradizioni saremo in grado di progettare il futuro.

    Il futuro è passato!


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